La Corte di Giustizia, a valle del rinvio pregiudiziale promosso dalla Corte suprema amministrativa bulgara, ha affermato che l’art. 4, par. 1, lett. c) ed e) della direttiva (UE) 2016/680 (relativa alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali) deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale che prevede la conservazione, da parte delle autorità di polizia, di dati personali riguardanti persone che hanno subito una condanna penale definitiva per un reato doloso perseguibile d’ufficio a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali – in particolare di dati biometrici e genetici – fino al decesso di detta persona, anche in caso di riabilitazione di quest’ultima, senza che venga posto a carico del titolare del trattamento l’obbligo di esaminare periodicamente se tale conservazione sia ancora necessaria, né riconoscere all’interessato il diritto alla cancellazione di tali dati, dal momento che la loro conservazione non è più necessaria rispetto alle finalità per le quali sono stati trattati, o, eventualmente, il diritto alla limitazione del loro trattamento (A.B.).
Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Grande Sezione, 30 gennaio 2024, C-112/22, NG